Malakapa: un diavolo per cappello



Si preannuncia come una bella mattina assolata e io sono pronta, prontissima a conoscere l'altra faccia di Arts and Crafts Market.
Questa volta non vado a Cinecittà ma a Trastevere, ma l'atmosfera è la medesima.  
Qui il market si svolge regolarmente il 3 martedì del mese e questa volta non sono sola.
Insieme a me Fabiola la Comare con la quale mi diverto a giocare a Ispirazioni&Co sull'altro mio blog.

Ci siamo incontrate un po' troppo presto e gli artigiani stavano ancora allestendo i loro stand. Abbiamo aspettato pazientemente poi ci siamo fatte avanti e abbiamo incontrato lei, Caterina.

Ecco cosa ha raccontato a Fabiola.

Ci racconti da cosa nasce il tuo progetto?
Nasce da una passione smodata per i copricapo. Sono una collezionista. Esaurito quello che offriva il mercato ho incominciato a creare da sola i miei cappelli.

Quale è stato il tuo percorso?

Da sempre amo dare forma ai tessuti, poi nel 2007 ho iniziato a portare le mie creazioni in strada. Sono partita un po’ all'arrembaggio, poi mi sono iscritta all'Accademia, dopo essermi laureata in tutt'altro.

Per me è stato un nuovo inizio: 6 anni di formazione in fashion design e, in contemporanea, ho studiato anche come costumista per il cinema ed il teatro.
Il mondo del teatro è molto particolare perché in teatro le cose devono sembrare. Puoi esagerare, attuare soluzioni che nella realtà non esisterebbero. Nelle sartorie teatrali si realizzano creazioni che fondono corpo e abito in sculture. Questo ha allargato molto la mia visione e ha influenzato il modo di progettare i miei cappelli.

Ci dici qualche cosa del tuo brand?
Mia sorella vive in Serbia. Un giorno le ho chiesto "Come si dice cappello in lingua serba"  e lei mi ha risposto "Malakapa" - che poi in napoletano vuol dire anche "testa matta".
Mi è piaciuto e l'ho adottato.

Fammi conoscere qualche tua creazione da vicino....
Questa è una collezione di cappellini montati su coppe di reggiseno.


Poi c'è tutta una serie di cappelli che si focalizzano intorno al recupero di tessuti.
Questo è canapone, recuperato dalle cantine dei miei vicini. Ho salvato questi tessuti e li ho tinti con tinture naturali.  Indaco, robbia...



Colori bellissimi! Ho visto che ad alcune creazioni hai associato la descrizione del significato del colore...Si! Grazie alla formazione accademica mi sono scontrata con Michel Pastoureau - storico del colore che ne studia il ruolo e il significato nel percorso dell'umanità.
 

Raccontami qualcosa di più... i colori che hai ottenuto sono straordinari.Si, sto sperimentando da poco... è magia in effetti. Avevo fatto esperienza di tintura con aniline, ma i colori di sintesi riservano poche sorprese. Mi sono documentata e ho scoperto la magia della tintura naturale con cui è possibile realizzare vere e proprie alchimie! Non mi aspettavo davvero di tirar fuori la reazione del tessuto.

Alcuni dei tuoi cappelli sono un po’ felliniani... che ruolo ha il sogno nelle tue creazioni?
(sorride...) Chi sceglie questo lavoro deve essere un sognatore, deve sapere come disconnettersi dalla realtà. Perché la vita bisogna un po’ inventarsela ogni giorno ed essere sognatori aiuta.



A livello simbolico non mi capita di sognare quello che creo. Dei sogni che faccio ricordo le sensazioni...quando mi sveglio le immagini non restano… le sensazioni che ho provato sì.
 


Quando progetti un cappello immagini già la persona che lo indosserà? Quanto ti condiziona il cliente?
Poco. L'ispirazione nasce dalle forme. Vedo un oggetto o un'architettura che mi piace e nella mia testa la trasformo in cappello. Principalmente mi ispirano le forme. Io sono una che metterebbe in testa qualsiasi cosa! (ride) e tendenzialmente, cosa poco professionale, i miei cappelli li penso indossati da me...
Però quando qualcuno mi dice "... a me i cappelli non stanno bene", rispondo "prova una pagoda!"
La mia è a due piani. Sono in attesa del condono edilizio per tirar fuori quella a tre piani!

Che sensazioni hai quando porti a termine un nuovo modello?

Fammi pensare.... di solito la fase più divertente è quella iniziale, quella in cui tiri fuori il prototipo.

Lo disegni prima?

No. Non sono brava a disegnare, quindi passo direttamente alla fase realizzativa. Possono volerci dalle 2 alle 15 prove per trovare l'equilibrio. Ad ogni prova si apportano delle piccole variazioni, un'arricciatura più ampia, una punta più larga, seguendo un percorso progettuale di ricerca che mi serve a capire quanto modulare un modello perché sia esteticamente ancora bello.
 

Secondo te in cosa si differenzia l'arte dall'artigianato?
Che domanda difficile....
Ho questo dilemma da sempre ...
Durante i 6 anni di Accademia mi sono scontrata con un ambiente in cui l'arte è ARTE e il resto...semplicemente no. Io facevo MODA... la moda è considerata accessoria.
Ritengo che non spetti all'artista definirsi tale. Cioè non basta un titolo per renderti artista ecco.

Perché non tutto è arte...

Non sono sicura di questo...

Tu quanto ti senti artista e quanto artigiana?

 Io sento che la parte creativa è importante ma è altrettanto importante che io mi faccia venire i calli con la forbice della sarta. Perché questo cappello io l'ho ideato e realizzato a mano.Non disegno modelli per farli realizzare da chi le mani le sa mettere. In me ci sono tutte e due le figure. 

 
Si può vivere di arte e di artigianato in Italia?
Io credo che ci sia un modo. Ci deve essere. Io lo sto cercando (ride). Credo sia difficile. Vanno trovati i canali giusti per arrivare al pubblico interessato.

Spiegati meglio.
Personalmente vedo due grosse criticità: la prima riguarda l'inquadramento professionale.
La legislazione fa fatica ad inquadrarci. Non so per quale motivo si fa fatica a trovare una casella giusta per noi...
Se prendo partita iva da artigiano vengo considerata un'impresa. Ma non sono un'impresa, sono io, due mani, una macchina da cucire.

Altra criticità: il riconoscimento del prodotto.
Questo cappello dentro la vetrina di un negozio è guardato con occhi diversi rispetto a quando è qui sotto il gazebo...

Ci hai provato?
Eh..si!

E hai verificato che veniva guardato con occhi diversi?
Si! C'è proprio un riconoscimento diverso. E questo è un problema di educazione e sensibilizzazione del pubblico verso un certo tipo di prodotto.

Un  riconoscimento diverso di ordine economico intendi?
Parlo in generale, di valore intrinseco del prodotto.
E' chiaro che sensibilizzare il pubblico sta pure a noi artigiani. L'Associazione Prendi l'Arte è molto attiva in questo senso.
L'artigiano ha bisogno del contatto con il pubblico e del tempo che esso comporta.
La gente passa e chiede il prezzo.
Qual è il prezzo di questo cappello... fatto di canapone di recupero, che proviene da un luogo e da una storia chiusa nella cantina della mia vicina, doveva essere il suo corredo ma poi...
L'indaco con cui l'ho tinto è prodotto da una cooperativa di Rimini, gente meravigliosa, attenta all'ambiente e al rispetto della natura...e poi il lavoro che c'è dietro, l'idea, le prove per arrivare al modello definitivo.


Insomma c'è tanta roba dentro questo cappello. E se dall'altra parte c'è qualcuno che ti vuole ascoltare riesci a fargli capire cosa c'è dietro un prezzo.
Si fa fatica a prendersi tempo. E' una questione culturale. Io però sono una ottimista e penso che ce la faremo a far capire questo alla gente.

Noi ce lo siamo preso un po’ di tempo con Malakapa!
E ne è valsa davvero la pena!

Grazie (Caterina) ad ognuno dei tuoi diavoli per capello...ops cappello!!!

Questo post è stato scritto in collaborazione con Fabiola Di Girolamo.

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